Ritrovando la connessione con il nostro vero Sé
Ci si avvicina allo yoga spesso in maniera del tutto casuale, con un’idea che, nel 90% dei casi, non rispecchia quello che poi sarà il nostro percorso all’interno di questa disciplina.
Ci si avvicina allo yoga spesso in maniera del tutto casuale, con un’idea che, nel 90% dei casi, non rispecchia quello che poi sarà il nostro percorso all’interno di questa disciplina.
Quando penso ai miei dieci anni di pratica dell’Ashtanga Yoga, la prima immagine che mi viene in mente non è quella delle sequenze fluide o della fatica mattutina per arrivare in shala. È il volto di Elena e degli assistenti che via via mi hanno accompagnato nella pratica.
Questa settimana sono riuscita per la prima volta a scendere in ponte da sola. Ho dovuto fare un grande lavoro di schiena per arrivarci, ho una scoliosi doppia, il che ha reso il percorso a tratti faticoso. Negli ultimi mesi, il mio unico blocco era la paura di farmi male nel lasciarmi andare indietro con le mani, anche se sapevo che prima o poi sarei riuscita a farlo.
Condivido un po’ di miei pensieri. Spero possano essere utili.
Lo yoga mi ha insegnato la pazienza
Praticare yoga mi ha insegnato molte cose, ma tra tutte, la lezione più preziosa è stata la pazienza. Non una pazienza passiva o rassegnata, ma quella qualità profonda che nella tradizione yogica viene chiamata titiksha: la capacità di restare presenti nel disagio, di attraversare la difficoltà con dignità e quiete interiore.
Questa mattina mi sono alzata presto e sono andata in Shala per praticare, essendo venerdì mi sono affrettata per arrivare in tempo per praticare e finire entro le 9:30. Ho srotolato il mio tappetino, ho fatto due esercizi per riscaldare ginocchia e gambe prima di iniziare e poi mi sono portata in piedi per il mio mantra e per incominciare la prima serie.
Chi pratica Ashtanga con costanza e da un po’ di tempo, spesso viene frainteso dalle persone che ha più vicino. Abitudini come svegliarsi presto la mattina per praticare, mangiare poco la sera anche quando si esce a cena, andare a letto presto e portare il materassino con sé in viaggio per il mondo durante le vacanze sembrano sforzi o sacrifici inutili, per chi non conosce il mondo dello yoga.
Sono sempre stata una persona che, in modo quasi inconsapevole, si crea delle routine, le quali (grazie alla mia determinazione) si trasformano in una specie di obbligo nella mia giornata. Divento quasi dipendente da questa attività che devo fare o dalla “regola” che mi sono autoimposta e devo seguire.
Settimana scorsa ho letto un interessante articolo scritto da una mia compagna di questo incredibile viaggio interiore nel mondo dello yoga. L’articolo riguardava la paura, un sentimento che conosco molto bene e mi accompagna, fedelissimo, da che ho ricordi. Sono sempre stata fin da piccola una bambina paurosa; ogni momento di libertà e gioco è sempre stato accompagnato da una raccomandazione: “non farti male”, “non cadere”, “fai attenzione”.
Durante una telefonata, una amica mi ha raccontato di una situazione che non sapeva come affrontare, e mi ha chiesto: “come ti porresti tu? Quale posizione, quale Asana assumeresti?” Inizialmente la sua domanda mi è sembra strana: in che modo avrei dovuto assumere un Asana in una situazione?
L’anno scorso ho partecipato all’Ashtanga Yoga Intensive Course, poco prima di questo percorso Elena mi aveva dato Śīrṣāsana, quella postura che si fa alla chiusura della pratica mettendo la testa per terra e alzando le gambe. Come avrete percepito dal mio articolo precedente io e il mio equilibrio non abbiamo ancora sviluppato una relazione stretta e questo ha fatto sì che per fare la postura nel modo corretto ci è voluto molto tempo e tantissimi tentativi.