Trasformazione e gratitudine verso l’insegnamento

scritto da Gabriella Soldadino

Quando penso ai miei dieci anni di pratica dell’Ashtanga Yoga, la prima immagine che mi viene in mente non è quella delle sequenze fluide o della fatica mattutina per arrivare in shala. È il volto di Elena e degli assistenti che via via mi hanno accompagnato nella pratica.

Elena, una donna dolcissima, rigorosa, attenta, a volte inflessibile. Un’insegnante capace di vedere tutto: la postura da correggere, il respiro troppo corto, la mente che si distrae, le resistenze…

Eppure, è stato proprio quel rigore a trasformare la mia pratica — e me stessa.

Il valore del rigore.

L’Ashtanga è una disciplina che richiede costanza, presenza e un certo grado di umiltà. Da sola, probabilmente, non avrei mai mantenuto per dieci anni l’impegno quotidiano di salire sul tappetino. La mia insegnante, invece, sapeva come guidare senza sconti: ogni correzione era un invito a superare i miei limiti, ogni richiamo un modo per riportarmi al respiro.

Quando mi sembrava di non farcela, c’era sempre la sua voce a ricordarmi che lo yoga non è performance, ma trasformazione. Una trasformazione che avviene attraverso piccole, ripetute conquiste.

L’esperienza sul tappetino e nella vita

Col tempo ho compreso che ciò che accadeva sul tappetino non rimaneva confinato lì. 

Le sfide che incontravo nelle posizioni erano spesso un riflesso perfetto di ciò che vivevo fuori dalla shala.

Ricordo ancora la fatica — e la paura — nel salire su dal ponte. Non era solo una questione fisica: era un atto di fede. Ogni volta che provavo a sollevarmi, mi trovavo davanti alle mie resistenze più profonde: la tensione, il timore di cadere, il dubbio di non essere abbastanza forte.

Il giorno in cui finalmente sono salita su dal ponte (tra l’altro solo con il respiro), ho capito che avevo superato un confine dentro di me. Da allora, ogni volta che la vita mi presentava una sfida più grande, che sembrava insormontabile, tornavo mentalmente a quel momento: se sono riuscita a farlo lì, posso farcela anche qui.

È stato un ricordo-ancora, una memoria corporea che mi ha aiutata a vincere battaglie molto più difficili, a credere nella mia resilienza quando tutto sembrava complicato.

L’importanza dell’insegnamento

Oggi so che senza Elena, nulla di tutto questo sarebbe accaduto nello stesso modo. La sua presenza esigente è stata il filo rosso che mi ha accompagnata in un percorso non sempre semplice, ma sempre sincero.

Il suo modo di trasmettere l’Ashtanga era un insegnamento alla vita, alla pazienza, alla determinazione e all’abbandono. Era un invito costante a guardarmi dentro, a riconoscere le mie ombre, a non scappare davanti alle difficoltà ma ad attraversarle.

E così spesso è successo. E questa ricchezza ce l’ho ancora nel profondo del cuore e anche se la vita mi ha portato ad allontanarmi dalla mia cara shala  e dalle ‘’sisters’’ così ci chiamavamo con le compagne di tappetino, per me loro sono sempre al primo posto.

Dopo dieci anni, lo yoga continua a essere una parte essenziale della mia identità. Non pratico più ma porto con me la disciplina, il respiro, la consapevolezza. E soprattutto, porto con me la gratitudine.

Perché dietro ogni percorso autentico c’è quasi sempre un maestro — qualcuno che, con fermezza e cura, ti accompagna nel viaggio verso te stesso.

Gabriella

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