Ritrovando la connessione con il nostro vero Sé
Ci si avvicina allo yoga spesso in maniera del tutto casuale, con un’idea che, nel 90% dei casi, non rispecchia quello che poi sarà il nostro percorso all’interno di questa disciplina.
Ci si avvicina allo yoga spesso in maniera del tutto casuale, con un’idea che, nel 90% dei casi, non rispecchia quello che poi sarà il nostro percorso all’interno di questa disciplina.
Quando Noelia ha chiesto se ci fosse un volontario per scrivere qualche riga sul workshop con John Scott, ho pensato potesse essere l’occasione buona per riflettere su quei tre giorni: sono stati talmente pieni di informazioni, energie, divertimento, che molti pezzetti ancora faticano a combaciare. (Ah, e risate, quante risate! E pure qualche lacrima.)
Chi frequenta la Shala ha già sentito sicuramente Elena parlare di questi due grandi insegnanti, quindi non mi dilungherò più di tanto sulla ricchezza dei loro insegnamenti che passa, non solo dalle nozioni che condividono con grande generosità e autenticità, ma soprattutto da una lunga vita vissuta nello Yoga. La cosa che più mi colpisce di loro è questa nobile modestia, frutto di anni e anni di pratica, non solo fisica ovviamente ma anche di meditazione, chanting, respirazione ma più in generale di vita dharmica vissuta con estrema umanità e umiltà.
Quando penso ai miei dieci anni di pratica dell’Ashtanga Yoga, la prima immagine che mi viene in mente non è quella delle sequenze fluide o della fatica mattutina per arrivare in shala. È il volto di Elena e degli assistenti che via via mi hanno accompagnato nella pratica.
Questa settimana sono riuscita per la prima volta a scendere in ponte da sola. Ho dovuto fare un grande lavoro di schiena per arrivarci, ho una scoliosi doppia, il che ha reso il percorso a tratti faticoso. Negli ultimi mesi, il mio unico blocco era la paura di farmi male nel lasciarmi andare indietro con le mani, anche se sapevo che prima o poi sarei riuscita a farlo.
Condivido un po’ di miei pensieri. Spero possano essere utili.
Lo yoga mi ha insegnato la pazienza
Praticare yoga mi ha insegnato molte cose, ma tra tutte, la lezione più preziosa è stata la pazienza. Non una pazienza passiva o rassegnata, ma quella qualità profonda che nella tradizione yogica viene chiamata titiksha: la capacità di restare presenti nel disagio, di attraversare la difficoltà con dignità e quiete interiore.
Negli ultimi mesi ho avuto l’opportunità di partecipare a due workshop di Ashtanga Yoga con il r
Questa mattina mi sono alzata presto e sono andata in Shala per praticare, essendo venerdì mi sono affrettata per arrivare in tempo per praticare e finire entro le 9:30. Ho srotolato il mio tappetino, ho fatto due esercizi per riscaldare ginocchia e gambe prima di iniziare e poi mi sono portata in piedi per il mio mantra e per incominciare la prima serie.
Quante volte ci siamo trovati a pensare che quello che abbiamo non ci basta? Che alla fine faccio tanto, ma poi il risultato è sempre lo stesso? È naturale, vogliamo più successo, relazioni più sane, una salute più solida o una maggiore realizzazione personale. Darsi stimoli è necessario per la nostra crescita personale e uscire dalla zona di comfort è doveroso e necessario affinché ciò accada.
Secondo la tradizione, la pratica dell’Ashtanga Vinyasa Yoga, intesa come pratica fisica di Asana sul tappetino, va fatta 6 giorni a settimana e possibilmente la mattina presto, senza lasciar passare troppo tempo da quando ci svegliamo a quando srotoliamo il tappetino. Così la pratica diventa un vero e proprio rituale quasi quotidiano, un po’ come lavarsi i denti la mattina.
È quasi passato un mese da quando sono tornata dal ritiro con Richard Freeman e Mary Taylor.
Chi frequenta la Shala ha già sentito sicuramente Elena parlare di questi due grandi insegnanti, quindi non mi dilungherò più di tanto sulla ricchezza dei loro insegnamenti che passa, non solo dalle nozioni che condividono con grande generosità e autenticità, ma soprattutto da una lunga vita vissuta nello Yoga. La cosa che più mi colpisce di loro è questa nobile modestia, frutto di anni e anni di pratica, non solo fisica ovviamente ma anche di meditazione, chanting, respirazione ma più in generale di vita dharmica vissuta con estrema umanità e umiltà.